61 62 66

What Happens In The Tower?  dal 10/01/2008 al 21/01/2008

  Mestre (VE)


61 62 66 Che succede, allora, nella Torre?

Ignorata dai mestrini per decenni, apparenza esterna, chiusa e vuota, di un’identità cittadina in viadi definizione, vista più che altro come la curiosa appendice merlata (neogotica?) di un noto negozio d’abbigliamento sorto sul suo avito piede, ritrova un interno, e con esso, col suo mistero infine svelato, e con un programma di fruizione culturale attivo, recupera altres la sua piena funzione simbolica di Torre Civica. Un’antichità tale, quella della Torre, unica superstite tra le torri delle mura che cingevano Mestre, da renderla un luogo poeticamente situabile quasi prima della storia, atemporale, e dunque perfetto contenitore multidisciplinare nelle cui Stanze, come nei versi di un poema cavalleresco, rappresentare l’arte, gli amori, il teatro della cultura. Tre artisti appartenenti alla generazione fine anni Cinquanta/primi anni Sessanta se ne spartiscono i piani e le stanze in un emblematico contributo alla ri-qualificazione di questo spazio come cuore pulsante d’una città.

Ecco che si inaugura il 12 gennaio 2008 a partire dalle ore 11:00 la mostra "61 62 66 - What Happens in the Tower?" alla torre civica di Mestre. Protagonisti del singolare evento sono gli artisti Roberto Cannata (1961), Vito Campanelli (1962) e Paolo Loschi (1966), che occuperanno le sale espositive della torre civica in una "three solo exhibitions". Le opere esposte saranno presentate dal critico dott.ssa Michela Giacon. La mostra sarà visitabile con ingresso libero fino all 22 gennaio con il seguente orario: 09:00/12:30 e 15:30/19:30

Nella Prima Stanza, al pianterreno, si accampano gli “astratti furori” di Vito Campanelli. Già molto noto nel panorama mestrino, anche per via delle vivaci, provocatorie iniziative e battaglie culturali da lui promosse nel territorio negli ultimi anni, Campanelli sta assurgendo, come artista, a una dimensione europea: immagini e particolari delle sue opere diventano oggi “prodotto”, distribuito in tutto il mondo attraverso manifesti, quaderni d’arte, notebook e altro. Lo contraddistingue un istinto pittorico che sa divenire veggente intuizione nella capacità di muoversi su registri diversi assicurando al contempo l’organicità e la coerenza proprie a una forte cifra stilistica. Nel ciclo pittorico “Opus II”, summa della sua ricerca negli ultimi quattro anni (dal 2004 al 2007), del quale qui esposta una significativa selezione, Campanelli opera sul versante dell’astrazione, ma utilizzando tecniche e modalità informali. Gli esiti di questo situarsi in slittamento tra controllo - inteso come il sussistere di un’intenzionalità progettuale - e furore, l’interna eruzione di matrice espressionistica e informale, non possono che essere altamente originali


Nella Seconda Stanza - piano intermedio -, a essere protagoniste sono le epifanie materializzate di Roberto Cannata, creature d’apparizione divenuta dura e tridimensionale oggettualità tramite un uso sapiente e personale della tecnica pittorica. Se le avanguardie a cui, per affinità elettiva, possiamo relazionare l’opera di Campanelli, sono le cosiddette “ultime avanguardie”, il territorio d’elezione di Cannata è invece contiguo al mondo affascinante perchè perduto - ma lo può far appunto rivivere l’afflato poetico di una pittura ispirata - delle Avanguardie Storiche. Visivamente colto e ben consapevole della linfa vitale che viene all’artista dall’esercizio della cultura, Cannata si muove tra significanti post cubisti e surrealisti, trasmutando gli apporti dei maestri del Novecento nel materiale inventivo in sommovimento nel proprio crogiuolo alchemico. Ne nascono poetiche metamorfosi, esseri che inseguono un metaforico riscatto da una coatta condizione d’alienati, triste asservimento generato dal mondo contemporaneo.


Nella Terza Stanza, all’ultimo piano, ossa desideranti si connettono schioccando; l’autore Paolo Loschi, tendenzialmente il più elitario dei tre protagonisti di questa mostra, che qui presenta la serie “B-Bones”: macchine segniche de-costruite intorno ai perni di strutture concettuali forti, con una qualche affinità – l’ironia, in primis - con le “macchine celibi” duchampiane. Assai diverso il ciclo pittorico antecedente a “B-Bones” : in “Angel de tierra” (2006) Loschi aveva presentato una galleria di parvenze angeliche, angeli caduti emulando l’ “Angelos Satanas”; presenze epifaniche affioranti in nervose, sconnesse tracce dalle cromie dei loro Averni. Le tele della serie “B-Bones” sono da intendersi invece come una serie di “lastre”, di radiografie di una fisiologia dell’anima. In “Angel de tierra” e in altre opere antecedenti, la ricerca dell’artista si estrinsecava in significanti dall’aura oscura e luciferina, carichi di tutta la lacerante inquietudine del contemporaneo, attraversati da brividi erotici e imbevuti di mercuri perversi. Qui Loschi, che nel frattempo è entrato in un’altra fase del suo percorso artistico, adotta, anche stilisticamente, una tipologia di mutamento per mostrare appunto i “frames” di un mutamento interiore netto, risoluto, un nuovo stato da cui non si torna indietro.




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