Alla ricerca degli spazi perduti | Neda Shafiee Moghaddam
a cura di Helia Hamedani
dal 15/05/2021 al 30/07/2021
Emmeotto Arte Via di San Pantaleo, 66 Roma (RM)
Alla ricerca degli spazi perduti *
“Finché ricordo, ho vissuto negli spazi staccati, spazi dove non era possibile che la forma e il contenuto divenissero un corpo unico. Nulla era al suo posto. Spazi di epoche diverse erano uno accanto all’altro, come tessere malfatte messe insieme in modo casuale. Tanto che ho sempre pensato di vivere in un mondo arido. Solo il panorama magico delle montagne e l’attrazione alle relazioni umane mi tratteneva nella vita reale “.
Daryush Shayegan (1935- 2018) filosofo, scrittore iraniano
Neda Shafiee Moghaddam è nata in Iran e da molti anni vive in Italia. In entrambi i paesi ha studiato scultura ma frequenta anche altre forme espressive. Spesso medita sulla poesia della metamorfosi delle forme. Proietta la trasformazione del corpo e l’esperienza vissuta negli oggetti quotidiani. In tutte le sue opere è presente una cifra autobiografica.
Il titolo di questa mostra è ispirato dall’omonimo testo di Shayegan e appartiene ai suoi scritti sull’arte visiva e le sue peculiarità tra occidente e oriente.
All’entrata si percepisce un riflesso umido sulla carta ondeggiante, un blu scuro, ogni tanto un alone più chiaro, poi una macchia gialla o un viola che sprofonda,
Ora siamo nella stanza,
Si sente il gorgoglio dell’acqua
Una parete blu e un disegno sopra una poltrona,
I corpi galleggiano sotto strati di plastica,
L’acqua scorre sotto una bassa luce celeste,
Lo sguardo è sottilmente capovolto.
Neda, ama disegnare e sfida dolcemente la bidimensionalità del mezzo pittorico aggiungendo volumi invisibili; qui il suono immateriale e le plastiche trasparenti. Questi disegni dal titolo “Rinascita” fanno parte delle opere realizzate durante la chiusura per l’emergenza covid-19. È in questo periodo che l’artista sente l’esigenza di aggiungere colori ai suoi disegni che erano spesso nero e ocra. Disegni che ci portano dentro un sogno di limpide acque blu dove galleggiano corpi sottili.
“Metto il colore e lo guardo spandersi in macchie, non controllo le forme, poi posiziono liberamente i corpi”, racconta l’artista. Questi momenti vivaci, in parte casuali, vengono messi sotto vacuum in buste trasparenti, come se si potesse fermare lo scorrere del tempo.
Il contrasto tra il suono dell’acqua che gorgoglia e il materiale immobile tra le pieghe delle buste, crea una dicotomia tra il fluire temporale e la fissità materiale, come spesso accade nei sogni.
La serie “Rinascita” racconta un tempo compresso e sospeso dai momenti incerti della pandemia, in una forma caotica-casuale, sfumata di ottimismo.
Le buste vacuum, che ritroviamo in precedenti opere dell’artista, simboleggiano lo spazio-tempo. In un’altra mostra, dentro queste buste di plastica erano compressi oggetti simbolo della sua storia, della sua vita archiviata. Aveva diviso immagini e documenti personali, le sue memorie, in queste buste solitamente usate per ridurre l’ingombro delle cose ma anche per preservarle dai danni naturali.
Nel ridurre lo spazio fisico, l’artista, sottolinea lo spazio psichico. Uno spazio dove i ricordi vengono condensati in frammenti. Lo spazio psichico è dominio della memoria dove il presente è fuso con il passato e il futuro sconosciuto.
Tutti contenitori in questa mostra, raccontano esperienze del corpo, possono rappresentarsi in forme cubiche con messaggi concettuali, oppure avere forme organiche e sperimentali.
Nella sala ci sono due tipi di contenitori; buste color ocra di carta della serie Autoritratti (dal 2019- in corso) e Cubi di Cemento (dal 2020- in corso). Qui, il contrasto è tra la leggerezza e la precarietà della carta e la pesantezza e la staticità del cemento.
Su ogni busta troviamo, rappresentato con un selfie, il volto dell’artista e una parte del suo corpo. Sopra le buste appaiono anche le immagini di oggetti quotidiani. Immagini che Neda aveva salvato negli anni e che in modo spontaneo mette sulle buste. Come afferma, queste immagini sono evocazioni che lo spettatore può decodificare di volta in volta a sua interpretazione. L’artista ci invita a trovare il filo di storie e racconti immaginari.
Per leggere le buste, dobbiamo relazionarci con un altro linguaggio. La gestualità delle mani, storie personali e l’immagine degli oggetti quotidiani, ne sono indice. Tre buste all’entrata sono aperte, leggere, quasi volanti. Altre appaiono pesanti, sono sparse per terra, rigonfie di contenuti invisibili. Dalle forme esterne e le immagini/parole che scorrono sulla superfice delle stesse, possiamo fantasticare sul loro contenuto e ciò che raccontano. Dietro le buste, sulla parete, scorre il video del panorama visto dal finestrino del treno nel deserto dell’Iran.
Le buste di carta vengono usate per portar via le macerie nella ristrutturazione delle case. E i cubi in cemento, comunemente chiamati “pozzetti”, vengono normalmente usati per il deflusso delle acque nella costruzione delle case. Sono moduli prefabbricati. Diventano la struttura del palcoscenico nelle storie che ci racconta l’artista.
Come dice Shayegan, tra la dimora, vale a dire lo spazio costruito, e lo spazio della mente e il cuore, ci sono tanti inevitabili similitudini; tanto che per modificare l’uno, bisogna cambiare anche l’altro.
I contenitori in cemento rappresentano il cubo esistenziale. Ci invitano a contenere la vita all’interno del loro spazio, aperto ma confinato. Nella prima opera, il cubo è visto dall’artista come simbolo di perfezione e viene amorevolmente appoggiato su di un cuscino, anch’esso di cemento. Le sue giunture e i suoi difetti vengono impreziositi/valorizzati con oro come nella pratica giapponese kintsugi. Nell’altra, un albero senza radici è diventato di ferro per potersi innalzare e cresce sopra il cemento. Non tocca nulla all’interno del cubo ma di rado sulle punte dei rami riconosciamo piccoli frutti del colore della terra rossastra all’interno.
Questi contenitori non occupano solamente uno spazio ma riflettono soprattutto il tempo. Nel capolavoro di Proust, Alla ricerca del tempo perduto, il tempo scorre nel raccontare ogni dettaglio dei luoghi e “degli spazi” che l’autore ricorda e cerca di riportare qui e ora. Altrettanto, con questa mostra Neda Shafiee Moghaddam è alla ricerca dello spazio perduto e reinventa gli spazi provvisori per raccontare le forme dell’epoca del nomadismo. Con oggetti quotidiani, crea poesie visive e tramite l’instabilità delle forme racconta lo stato transitorio del contemporaneo. Come il treno che percorre, in loop sul fondo, in un viaggio senza fine.
Helia Hamedani, Roma, marzo 2021
*Il titolo della mostra è ispirato da un omonimo articolo di Shayegan, la prima volta pubblicato in francese sulla rivista Lumiere de la ville, n.2, giugno 1990 e successivamente tradotto in Farsi nel 2013.