“I MULINI DI DIO - è stato scritto”

di Ciro Palumbo  dal 24/04/2015 al 07/05/2015

Ex Ospedale San Rocco Piazza San Giovanni Battista Matera (MT)


I MULINI DI DIO - #232; stato scritto La mostra a Matera diventa “I MULINI DI DIO - è stato scritto”
A Matera che è terra di luce e di pietra che quasi si creano l'una dall'altra. La pietra bianca calcarea che è montagna, ma anche cavità, il Sasso che diventa ventre materno e che accoglie la vita: una città-pietra che è anche città-croce, scelta inoltre da registi come Pier Paolo Pasolini e Mel Gibson per ambientare il dramma della Passione in film divenuti celebri.
Ciro Palumbo presenta opere con intense tonalità di colore bianco sotto il sole ferocemente antico della Gerusalemme italiana: il destino dell'uomo, il dramma del dolore e il desiderio di salvezza qui si uniscono con il bianco simbolico della pietra e della luce, fondendo in maniera armonica l'idea concettuale con quella del simbolo che rievoca la memoria. Ed il bianco è colore simbolico per eccellenza, assenza di colori, perché li inghiotte tutti in sé, è considerato luce e simbolo della spiritualità e della trascendenza in tutte le culture, e interpretato, secondo l'Apocalisse di Giovanni (7, 13-14), come il colore della purezza ottenuta col sacrificio fino al martirio.

La mostra “I MULINI DI DIO - è stato scritto”
È stato scritto: che la verità non è mai nuda ma è sempre celata nell’evidente.
Ciò che “è stato scritto” è forse il destino dell'uomo, che si ripete incessante, il destino del sacrificio umano che chiede le proprie vittime, per continuare a mantenere il suo equilibrio ancestrale. Quello che “è stato scritto” appartiene alle narrazioni della Passione dei vangeli canonici (ma anche di quelli apocrifi), come appartiene alla ciclicità del destino umano, al mondo in cui tutto ritorna o in cui tutto in una mobile, ricorrente eternità resta uguale a se stesso, e che richiama il concetto di “pasta sfoglia del tempo” teorizzato da Hans Magnus Enzensberger, secondo cui il tempo (e la storia) trova la migliore rappresentazione della sua complessità e commistione attraverso il paragone con la pasta sfoglia e il suo caratteristico sovrapporsi di strati, in cui non esiste un “nuovo”, perché “ciò che di volta in volta rappresenta il nuovo è solo un sottile strato che galleggia su insondabili abissi di possibilità latenti”.


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