Giulio Turcato.

Dalla forma poetica alla pittura di superfiecie. Opere scelte dal 1945 al 1991  dal 05/02/2016 al 09/10/2016

CAMeC , Centro Arte Moderna e Contemporanea della Spezia Piazza Cesare Battisti, 1 La Spezia (SP)


Giulio Turcato. La mostra prende il via dalle opere degli esordi di Giulio Turcato: siamo nell’immediato secondo dopoguerra (Natura morta con pesci del 1945 e La presa delle terre del1948). E’ proprio in quegli anni che Turcato, senza essere cubista a tutti gli effetti, assorbe dalla lezione cubista “educazione, disciplina e coscienza formale”, ma “senza cedere ad astrazioni” che facciano dimenticare la “realtà” e l'“uomo” (cit. dal manifesto dei post-cubisti, a cui aderisce), cercando un possibile (o impossibile?) compromesso tra libertà formali e contenuti di impegno sociale.
Proseguendo nel percorso espositivo, ecco le espressioni della sua adesione all’astrattismo nel momento di più accesa e dura querelle fra ‘realisti’ e ‘astratti’: si tratta di opere significative degli anni Cinquanta e Sessanta (Giardino di Miciurin, 1953; Mosche cinesi, 1956, La pelle, 1963).
Più avanti ancora, arriviamo alla sua particolare interpretazione dell’Informale e alla sua indagine intorno al colore e al colore-luce dei Cangianti (anni Ottanta e primi Novanta).

“Si può dire che nell’uomo vi sono ragioni quasi biologiche che l’hanno sempre spinto verso l’arte. Penso che questa avventura è quella che lo contraddistingue immediatamente dagli altri esseri…” (cit.1957).

Spiega la Mostra “Dalla forma poetica alla pittura di superficie” Marzia Ratti, curatrice con Eleonora Acerbi dell’esposizione. “Il titolo allude agli estremi del percorso linguistico di Turcato: a partire dagli inizi, influenzati dai maestri francesi delle avanguardie storiche, fino all’approdo alle sue originali astrazioni informali”.

Nella mostra infatti si ripercorre tutto il suo percorso creativo, durato quasi mezzo secolo. Vediamolo. Continua Marzia Ratti: “E’ una selezione ragionata di opere che seguono la maturazione artistica del poliedrico autore che ha spaziato dalla pittura, suo campo di elezione, alla grafica, al design, alla scenografia e alla scultura: la raccolta dunque riflette, oltre al divenire del suo linguaggio visivo, anche i passaggi cruciali delle congiunture sociali e culturali del secondo Novecento. E fu un divenire tormentato nel panorama italiano per il particolare quanto controverso intreccio tra ricerche formali tendenti all’astrazione e l’adesione all’impegno politico per un’arte di massa, libero da forzature di tipo contenutistico. In questo scontro tra figurazione e a-figurazione, condizionato fortemente da istanze ideologiche –sottolinea la curatrice- Turcato si mantenne sempre in una posizione autonoma e insofferente ad ogni dogmatismo estetico”.

“Le libertà espressive sono di chi se le prende. Quando non c’è lo spazio se ne può inventare un altro. Il metodo per inventarlo è già quasi il nuovo spazio”. (1965).

Lo afferma Turcato, in uno di quei numerosi scritti che hanno accompagnato lo svolgersi della sua attività, come complemento inseparabile del suo impegno nel campo dell’arte e della sua visione del ruolo sociale dell’artista. Possiamo leggerne una ricca e stimolante selezione nel volume curato da Flaminio Gualdoni.

Nella mostra trova posto anche una digressione dedicata al disegno e al meno coltivato, ma sorprendente, versante tridimensionale installativo: con una Porta e una Finestra (degli anni Settanta), due grandi installazioni che possono rivivere solo in occasioni espositive, ma anche con le Oceaniche, sagome lignee dai colori squillanti, ispirate da un suo viaggio compiuto in Kenya. Infine, provenienti dalle raccolte del CAMeC, si possono ammirare altre due importanti opere: Cantiere, del 1951, che ricevette il Premio nazionale di pittura “Golfo della Spezia” e un Senza Titolo della serie Pelle, riconducibile al decennio successivo, entrato nelle raccolte civiche attraverso l’importante donazione di Giorgio Cozzani.



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