“Il lavoro dell’artista”
Un percorso Genovese 1977 - 1989
dal 17/01/2015 al 20/02/2015
Lecce (LE)
Già presentata nella primavera del 2013 nel Palazzo Ducale di Genova, la mostra “Il lavoro dell’artista” viene ora nuovamente proposta in un allestimento considerevolmente ampliato, sia in termini di opere che documentazione del periodo, nel Castello Carlo V di Lecce, in ragione dei molteplici legami che – nell’arco temporale che corre fra il 1977 ed il 1989 – si erano stabiliti fra i protagonisti del “percorso genovese” che la rassegna documenta e personalità, movimenti e riviste radicati in Lecce. Legami che inizialmente si strinsero fra Francesco Saverio Dodaro e Rolando Mignani, inducendo quest’ultimo alla pubblicazione di Ghen Liguria – Res Extensa (1981-1983), dove si registra la presenza anche di Franco Gelli, Antonio Massari e Fernando Miglietta, e trovarono successivamente in Vincenzo Lagalla un tramite primario fra la scena culturale del Salento e gli ambienti della nuova residenza ligure.
“Il lavoro dell’artista” trae origine dall’incontro, a Genova, tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta, di alcuni artisti non classificabili a partire dalle tassonomie invalse nella critica militante. Non erano tutti coetanei, giacché appartenevano ad almeno tre diverse generazioni, con percorsi di esperienza e di formazione differenti. Non costituivano un gruppo in senso proprio, sebbene avessero scambi e condivisioni intense attorno ad un tratto comune rappresentato dall'estraneità alle mode che il sistema dell’arte promuoveva in quel momento. Li univa, nelle loro ricerche, un'istanza critica verso una concezione dell’arte come categoria a sé stante che si rifletteva in una pratica poetica spinta, in taluni casi, fino al limite dell'iconoclastia e della più o meno temporanea inoperosità.
Tutt'altro che indifferenti e chiusi alle tonalità emotive, alla cultura e agli stili di vita e di produzione che stavano insorgendo, questi artisti restavano fedeli a un indice radicale che aveva trovato espressione in Benjamin e Debord, rivolgendo uno sguardo fenomenologico verso le condizioni e le forme di vita di una insorgente "intellettualità di massa". Significativo, in questo senso, appare il fatto che negli stessi anni in cui il lavoro cominciava a deporre la forma caratteristica della cosiddetta civiltà industriale, anche il lavoro di questi artisti non fosse innanzitutto finalizzato alla produzione di opere, ma alla decostruzione dei processi di formazione del senso. Così Rolando Mignani, già protagonista a fianco di Ugo Carrega della stagione della Scrittura visuale, si muoveva in quegli anni sul terreno problematico della collisione fra materia e simbolo, traendone concatenazioni interpretative vertiginose, mentre Gianni Brunetti conduceva – a partire da documenti
fotografici – una penetrante indagine sulla relazione fra oggetti e segni, elementi “preformati” di un mondo indefinitamente scomponibile e ricombinabile in un ritmo circolare. L’immagine (d’autore e di repertorio) si poneva nel lavoro dell’epoca di Piero Terrone come spazio d’interazione fra i linguaggi della fotografia e della pittura, sottoposti ad uno scandaglio analitico, su uno sfondo di contenuti esistenziali al tempo stesso sottolineati e distanziati in una disposizione sequenziale. L’operatività di Italo Di Cristina, imperniata sin dall’origine sull’idea di una “sottrazione di ruolo”, veniva allora perseguita con il rifiuto dei canali deputati dell’arte ed un lavoro di auto-organizzazione, condotto attraverso interventi performativi e di manipolazione destrutturante di forme e stili storicamente dati. Vincenzo Lagalla si impegnava, inizialmente nel Salento e dal 1985 a Genova, nella costruzione di percorsi nei quali la macchina oggettuale genera la parola, dove l’ambiguità e la pregnanza del significato verbale riverberavano nell’azione e si espandevano nell’ambiente. Il diario straniato (e poi combusto), l’autobiografia indiretta, veicolata da oggetti e lacerti quotidiani, il ritratto negato dell’autore, non più soggetto e non del tutto oggetto, sono stati i temi affrontati da Giuliano Galletta, “resti” visibili di un discorso che dice di non poter dire. Nicola Bucci, infine, metteva in campo una dimensione schiettamente metalinguistica affrontando la questione cruciale del ritratto, in una disposizione che aggira l’estremo manierista dell’Autoritratto in uno specchio convesso del Parmigianino così come l’enunciazione concettuale di Giulio Paolini nel Giovane che guarda Lorenzo Lotto, per approssimarsi al ribaltamento barthesiano della visione, secondo cui non è il soggetto che contempla l'opera ma è l'esteriorità dell'opera che afferra il soggetto.
In occasione della tappa genovese della rassegna l’Editore De Ferrari ha pubblicato un saggio di Nicola Bucci intitolato Considerazioni inattuali, nel quale vengono estesamente analizzate posizioni ed esperienze degli autori che vi sono rappresentati, nell’ambito del periodo 1977-1989, caratterizzato da un marcato processo di trasformazione della produzione sociale. Il testo in questione è liberamente scaricabile dalla rete in formato pdf od e-book dal sito della mostra (www.lavorodellartista.it).