Gioele

Mostra fotografica  dal 01/12/2021 al 04/12/2021

Industrie FLuviali Via Del Porto Fluviale 35 Roma (RM)


Gioele Un dito indica il cielo. Non si dovrebbe indicare ciò che gli occhi non vedono. Mostrare ciò che non abbiamo colto, che non vogliamo cogliere. Gioele ci indica però il punto di partenza. Non tanto il cielo ma l’oggetto: per capire dobbiamo essere dito, nuca, fronte. Occorre comprendere con quello che siamo e forse eravamo. Per questo Gioele non è un diario. È tutto presente, memoria e attimo sono in un cortocircuito che li rende istanti. La comprensione dunque è senza le parole che, nelle forme della calligrafia o di WhatsApp, ci ripetono che il mondo non passa più dalla sua spiegazione. C’è solo da guardare a naso in su un cielo, un esercito di rami, una cascata, una palla da basket.

Lo sguardo del dito che indica, porta le cose a rivelarsi alla vista.

Il mondo è pieno di visioni che attendono occhi puri in grado di ascoltare la crepa dell’asfalto attraversata da un triciclo.

L’intero universo è il pensiero dei fiori, diceva un saggio orientale. Gioele è quei fiori senza la retorica letteraria dell’autismo. Gioele è un nucleo di poesia sprofondato nel reale, guarda senza morale, sperimenta la pubertà, la relazione con l’altro, con il gioco, con la notte: perché occorre che il buio s’anneri perché le prime stelle luccichino. Fossero anche stelle elettriche, fasci di lampadine, baluginii di una giostra. C’è Fabio, Fabio Moscatelli a placare con la mano fraterna tutto il nero che c’è tra quelle stelle di luce e il buio di un cielo troppo vasto. Più che significare o dire, o descrivere è necessario che si aprano qua e là voragini di luce. Fabio Moscatelli non è il detentore educativo di ciò che vede. La poesia del calzolaio sono le sue scarpe, la poesia del fotografo sono queste immagini che dicono ciò che si deve fare: semplicemente. Caghall entrò nella storia con la sorgente infantile della pittura. Fabio entra nella complessità della relazione con la sorgente infantile dell’immagine. Perché la semplicità ha risonanze infinite. Il suo scatto in diagonale, obliquo, sghembo e impuro nega l’intenzione di prendere, nega una consolazione, non cercare nulla. Sovrapporsi, incrociarsi con tutto. Di sfuggita mentre tutto passa in una sfocatura.

Le sue immagini non scendono a patti, a compromessi con l’estetica del piagnisteo o della commiserazione. Fabio mette il dito accanto a quello di Gioele, tocca la punta visibile della realtà e la fa accadere, così: senza aggiungere una parola che romperebbe l’incanto.

Sullo sfondo i palazzi e i grattacieli non ci fanno paura, il quotidiano si è dato una tregua.

Il cielo inutile di Montale, ora che Gioele l’ha indicato, è diventato utile.

L’impercettibile, il minuscolo, il filo d’erba verso i cavalli, un salvagente, un palloncino, delle bacche rosse scorrono nel flusso della vita.

Il mondo è così grande da inghiottire anche il dolore.

È semplice, facile, comodo amare, soffrire? La risposta è chiara solo ai bambini che saltano su un materasso. Hanno trovato un posto nel mondo dopo averne attraversato gli elementi, l’acqua, la terra, il cielo. Dopo aver provato a mascherarsi da uomo ragno, o da adulto che si misura la pancia. La bellezza ci è solo sfuggita di mano, siamo solo stanchi. Confondiamo una piuma sull’erba con quella di Forrest Gump perché anche la mitopoiesi non sa che l’insignificanza di una piuma è già il miglior posto nel mondo, senza la sua cultura.

L’umanità va addomesticata come il cane che guarda Gioele. Allora non ci sarà più differenza tra la finzione di un paesaggio montano, o il pettirosso su un cellulare. La bellezza è solo dare direzione allo sguardo. Si può arrivare a negare la differenza tra ciò che vediamo e ciò che siamo. Casomai ci si può sempre distendere sull’erba, guardare il cielo o rimanere proni.

Per non precipitare nel nulla basta aggrapparsi ad un filo d’erba e sorridere.

— Simone Azzoni




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