giulio catelli.
tracce e sentieri
dal 01/06/2011 al 05/06/2011
Roma (RM)
Giulio Catelli o della virtuosa indifferenza all’oggi
di Andrea Romoli Barberini
Tra Giulio Catelli e i suoi manufatti sembrerebbe avvertirsi un qualcosa di difficilmente definibile ma apparentemente prossimo a una singolare discontinuità, che emerge quando autore e opere compaiono fianco a fianco.
Così introdotti, la figura e il lavoro di questo artista sembrerebbero come marchiati e macchiati dall’“imperdonabile colpa” di spiazzare, porre quesiti, interrogare chi guarda, piuttosto che affermare perentoriamente e comunicare, in modo fluido, immediato e prevedibile, quella particolare dimensione del presente, troppo spesso affidata a una gradevole frivolezza sorretta da puntelli tecnologici, che ci si potrebbe aspettare da un ragazzo poco più che venticinquenne, quale egli è.
Catelli è infatti, “soltanto”, un giovane pittore. Ma ben oltre la coraggiosa scelta disciplinare, certamente minoritaria, almeno in termini di condivisione generazionale, quello che sorprende è, per così dire, l’area di riferimento della sua ricerca. Un’area, dai confini vasti e necessariamente sfumati, ma pur sempre individuabile, in cui convivono, inequivocabilmente, irrinunciabili personaggi e situazioni del secolo scorso, che spaziano dalla Scuola Romana a Morandi, senza escludere certo Sironi e ancora De Stael, Morlotti fino ad Alberto Gianquinto.
Lo “scarto”, se così si può definire, che si percepisce tra questo giovane e le sue opere è quindi tutto compreso in una scelta di ambito che, nel rifiutare ad un tempo tanto le seduzioni tecnologiche in voga, quanto l’oggettività di ritorno di certa pittura non più riconducibile, oggi, alla sfera del reale ma alla sua proiezione “congelata” nella dimensione della virtualità, al contrario evidenzia l’adesione a una concezione dell’arte dalle radici nobili, per certi versi remote, tendente ad esaltare le potenzialità stesse del dipingere, in termini di forma e senso, nell’estremizzazione di un’interpretazione soggettiva, cioè libera da vincoli strettamente mimetici, e quindi mediata dalla trasfigurazione. La sua è pertanto un’indagine che in larga misura richiama, presuppone e si sviluppa nell’esperienza di certo espressionismo e che cerca, rimanendo saldamente in quell’alveo, di ritagliarsi una spazio proprio, senza inutili nostalgie e senza logore e logoranti ansie di rinnovamento.
Si legge, nel lavoro di questo giovane artista, una spontaneità autentica, colta e consapevole, quindi per nulla ingenua, che gli consente di vivere la pittura con una naturalezza che non rinuncia alle opposte polarità dell’istinto e della riflessione profonda e che evidenzia, in certi soggetti di ordinaria quotidianità - quasi dei meri pretesti pittorici -, un intimo piacere nel pensare, fare e raccontare con pennelli e colori. In questa autenticità limpida, che pure non esclude la complessità del pensiero, risiede quella particolare e virtuosa “indifferenza all’oggi” (R. Savinio) che lo sostiene e accompagna quando si misura con certi generi - di preferenza il paesaggio, ma anche il ritratto e la natura morta -, recuperando, senza cadere nella forzatura di un approccio di maniera, quella preziosa e sempre più rara dimensione poetica, intima, discreta e silenziosamente introspettiva, pressoché esiliata dalla società contemporanea.