Mass Spectacle
a cura di Pietro Gaglianò
dal 25/01/2019 al 23/01/2019
Galleria Eduardo Secci Piazza Carlo Goldoni,2 Firenze (FI)
“L'adattamento della realtà alle masse e delle masse alla realtà è un processo di portata illimitata, tanto per il pensiero quanto per la percezione”.
Attorno a questa affermazione di Walter Benjamin (L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1936) si dispongono le opere di sei artisti internazionali per illustrare una serie di interrogativi sulla forma e sul senso delle rappresentazioni collettive, sul ruolo dell’arte nella sua relazione con il potere. Il progetto Mass Spectacle / Spectacles for the Masses è innescato da una riflessione sul monumento nel paesaggio contemporaneo e si dispone come un percorso sulle possibili contronarrazioni agite dall’arte chiedendosi quale sia il suo pubblico e quali i limiti della sua effettività rispetto al sistema economico che la promuove e la contiene.
Gli artisti coinvolti provengono in larga parte da culture che hanno dovuto confrontarsi con pesanti eredità coloniali o che si trovano in regioni di cerniera tra continenti e aree di influenza tra loro in conflitto, e la loro ricerca è arricchita da uno sguardo critico sulla produzione culturale di massa di marca occidentale. Victor Agius, nato nel 1982 a Malta, dove vive e lavora, reinterpreta l’iconografia tradizionale, della devozione religiosa come della politica, utilizzando materiali che incrinano il concetto di permanenza che caratterizza il monumento. Profondamente connesso alla cultura ancestrale della sua isola, Agius ne esamina attentamente le radici e le evoluzioni nel rapporto con il Mediterraneo e l’Europa. Alberto Borea (Lima, 1979, vive e lavora a New York) opera una drammatica revisione dei feticci della repressione sociale e del dominio finanziario, denunciandone le connessioni sotterranee; i confini della geografia del potere vengono riscritti svelando ramificazioni dalle quale nessuno può ritenersi non responsabile. Il lavoro di Hugh Scott-Douglas (Cambridge, GB, 1988) esplora i sistemi della produzione e della veicolazione commerciale come simbolo della condizione globale contemporanea e come strumento per mettere in evidenza altri passaggi e viaggi di esseri umani, di linguaggi, di significati. L’artista di origine siriane Diana Al Hadid (1981, vive e lavora a New York), impegnata in una originale sperimentazione nella tecnica e nei materiali della scultura, decostruisce la rappresentazione monumentale attraverso una ricerca formale che connette il passato al presente. L’argentino Santiago Taccetti (vive e lavora a Buenos Aires) sintetizza elementi di storia sociale del suo paese in forme che dialogano con diverse estetiche dell’arte contemporanea: tra simulazioni e sfide all’osservatore viene allestita una narrazione asciutta e drammatica delle ineguaglianze locali e globali. Hector Zamora (Città del Messico 1974, vive e lavora a Lisbona) è autore di progetti di grande formato che sovvertono i consueti apparati della percezione tra istituzione e controcultura, rappresentazione e immaginazione, opera e spettatore. Sul destino dell’opera e sulla sua permanenza è incentrato il lavoro presentato in questa occasione.
Nella congiuntura storica in cui venne pubblicato il saggio di Benjamin, nell’Europa dei totalitarismi, le grandi narrazioni si affermavano come spettacolo di massa, perseguendo la precisa volontà politica dei gruppi egemoni di raggiungere folle sterminate con la propria propaganda. Oggi più che mai, in una dimensione globale, fatta di azzeramenti continui della storia e verità istantanee, lo spettacolo di massa, Mass Spectacle, è un dispositivo ottico: Spectacles for the Masses, occhiali per le masse. In questa corrispondenza si descrive il rapporto tra la rappresentazione e la realtà, deformata proprio da quegli spectacles (occhiali) imposti dalla rappresentazione.