Milano (MI)
La cosiddetta «smaterializzazione dell’arte» – come recita il titolo di un celebre articolo di Lucy Lippard e John Chandler, pubblicato nel 1968 su Art International, nel quale si teorizza il processo di radicale astrazione della pratica artistica attuato dalle neoavanguardie concettuali – deve molto allo spiritismo. Sono gli esperimenti per vagliare razionalmente l’ultraterreno, per cogliere i flussi di energia psichica latente, vale a dire l’immateriale, e fissarne l’impronta in un’immagine – esperimenti condotti a partire dalla seconda metà dell’800 non soltanto da ciarlatani ed esaltati, ma soprattutto da intellettuali desiderosi di estendere la loro conoscenza oltre i confini del naturale – a dare inizio a quella deriva culturale allo stesso tempo scientista e mistica, dedita a individuare il versante sensuale della cerebralità e viceversa, che conduce a Kosuth e dintorni. Accaniti frequentatori di sedute spiritiche sono stati nemerosi esponenti di tutte – proprio tutte – le avanguardie, ma anche molti, insospettabili paladini del positivismo, da Cesare Lombroso ad Arthur Conan Doyle. E se la pittura astratta ha avuto le sue origini in quel club di occultisti dilettanti che è stato il Simbolismo, un capitolo a parte della storia della fotografia dovrebbe riguardare le presunte foto di fantasmi scattate da William Mumler, William Hope e dai loro copiosissimi imitatori. Ai fini artistici, poco importa che quelle immagini fossero false: il fatto rilevante è che ipotizzavano una rappresentazione dell’aura – per di più attraverso uno strumento tecnologico, cioè scientifico, qual è la fotografia – e in tal modo portavano per la prima volta alle estreme conseguenze quel desiderio di vedere l’invisibile che sarà poi la tensione portante di molta arte novecentesca. E poco importa se talvolta i risultati erano goffi, ma comunque stranianti, e spesso, proprio perché improbabili, suggestivi: come se quelle apparizioni di presunti fantasmi assomigliassero ai ritratti di un soggetto «angelizzato e privo di polarità sessuale», di un «equivoco pollastrone che segnerebbe il culmine del processo astrattivo, platonizzante del divino Leonardo». Così scriveva nel 1939, dopo aver visto la mostra di opere di Leonardo da Vinci ospitata alla Triennale di Milano, Carlo Emilio Gadda. Per ricevere aggiornamenti e news su corsi, mostre, eventi e workshop relativi a ArteRaku.it iscriviti alla mailing list