Approfondimento curato da Giovanni Cimatti
Ho iniziato a lavorare attorno a una ipotesi di Raku "freddo" alla fine degli anni novanta quando, dopo vent'anni di Raku per diletto, lavorando attorno alle "terre sigillate", grazie anche alla conoscenza di artisti come Duncan Ross, Pierre Bayle e Tjok Dessauvage, ho scoperto la possibilità di avere l'annerimento delle argille porose anche a bassa temperatura.
Questa scoperta legata alla microporosità delle argille, mi ha fatto avanzare con successive varianti di metodo che sono tuttora aperte e che ho definito metodo di cottura a RAKU DOLCE.
Il Raku Dolce si colloca all'interno del cosiddetto Raku Americano, cioè eseguito con estrazione a caldo dal forno e successiva fumigazione, ma con alcune sostanziali differenze che consentono una radicale diversità di risultati estetici e formali.
Per descriverle meglio voglio sottolineare alcune caratteristiche fondamentali dell'originale Raku giapponese e di quello cosiddetto americano.
Una
di queste e', nel genere dei Raku, l'impiego di impasti argillosi
a cui e' stata aggiunta chamotte soprattutto nella produzione di
forme di media e grande dimensione.
Graniglia più o meno fine di materiale refrattario indispensabile per evitare
rotture del corpo ceramico (ma non escluderle), durante il veloce raffreddamento
in uscita dal forno. Questa chamotte se, da una parte, e' stata la fortuna
del genere Raku producendo una inconfondibile caratterizzazione della superficie,
dall'altra rende difficoltose sia la lavorazione al tornio che la finitura
delle superfici; se non attraverso una complessa compattazione o levigazione
con pressione di attrezzi lisci esercitata a durezza cuoio.
Ma questa chamotte se rende più facile l'essiccamento delle forme e riduce
il rischio di fessurazioni, per contro rende il corpo dell'oggetto più fragile
sia a secco che a cotto. Vi e' poi l'annerimento delle parti in argilla scoperte
dal rivestimento vetroso che nel Raku americano avviene solo dietro una forte
fumigazione e solo con il corpo ceramico rovente. Questa metodica richiede
generalmente la chiusura in contenitori metallici della ceramica incandescente
a contatto con comburenti generalmente vegetali; contenitori che trattengono
il fumo attorno al pezzo.
Quali sono le potenzialità tecniche e quindi estetiche? Il mio metodo "DOLCE" consiste nell'estrarre le ceramiche a bassa temperatura e ottenere ugualmente un annerimento brillante del biscotto: a volte, per evitare di ferire l'oggetto, utilizzo pinze metalliche che nel punto di contatto sono ricoperte di comunissima stoffa di cotone o afferrando la ceramica calda con i guanti e pezzi di cartone. Per la realizzazione delle forme a Raku Dolce impiego argille senza chamotte e così posso ottenere superfici con elevata finitura anche con la foggiatura al tornio. L'impiego di argilla senza chamotte mi consente di ottenere forme senza fratture fino a 50-60 cm di diametro e con spessori di soli 3-5 mm. Quando finisco le superfici utilizzando le patine del genere "Terra Sigillata" posso effettuare le applicazioni a immersione su argilla secca senza rischio di rotture da eccesso di infiltrazione di acqua e ottenere la lettura di ogni dettaglio di eventuali bassorilievi come nelle Terre Sigillate Romane. Con le patine "terra sigillata" ottengo craquelés incredibilmente rarefatti, molto estesi e rapporti di arancio caldo e nero di derivazione "attica". Se impiego vernici trasparenti o colorate ad esempio turchesi posso ottenere superfici pulite e cavilli molto anneriti. E soprattutto una ottima durezza delle forme anche dopo una cottura Raku.
In sintesi: ho fatto il "raku dolce" perché mi piaceva fare ceramica Raku ma ero stanco di argille piene di graniglia refrattaria a effetto roccioso-materico, di forme sempre fessurate e troppo fragili, di maleodoranti bidoni per le riduzioni e della puzza di fumo che mi restava sempre addosso. Adesso posso fare forme ben rifinite che vibrano con suono di campane, dove le argille scoperte dal vetro sono di colore nero etrusco e le "Terre Sigillate" disegnano, con attica nettezza, grandi craquelés girovaganti su superfici color arancio solare.
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